La violenza sulle donne, sia essa fisica, sessuale, domestica, psicologica e di altra natura, è un fenomeno trasversale che colpisce donne di ogni età, ceto sociale, condizione economica. In alcuni casi, le donne che subiscono violenza, possono trovarsi in una situazione di vulnerabilità maggiore per via di una particolare condizione di privazione economica, o per via del loro status giuridico (donne migranti e rifugiate), o a causa di una disabilità. Quando parliamo di disabilità ci riferiamo sia alla condizione precedente la violenza sia alla condizione che può essere stata determinata dalla violenza subita.
L’essere una donna diversamente abile può averti messo in una condizione di maggiore difficoltà nella tua vita quotidiana e/o aver avuto un impatto sulla tua indipendenza economica e sulle relazioni con famigliari e conoscenti. Purtroppo la condizione di disabilità può aver determinato una situazione di dipendenza economica e assistenziale. Se si è verificato che proprio la persona che si è presa cura di te si sia dimostrata violenta e abusante, tu stessa avrai fatto fatica a comprendere dove fosse il confine tra cura e abuso (sessuale, ad esempio, ma non solo) e questo può aver influito sulla tua capacità di difenderti.
Proprio a causa della condizione fisica o psicologica in cui si trovano, le donne diversamente abili potrebbero fare molta fatica a raccontare una situazione di violenza o abuso ad un operatore o operatrice. Un ruolo importante può averlo chi vive o trascorre del tempo (leggi come aiutare una persona a te vicina che sta subendo violenza) con una persona diversamente abile poiché ne conosce meglio di chiunque altro il carattere e le modalità di comunicazione e può essere in grado di intercettare comportamenti che altri/e potrebbero sottovalutare.
Chi trascorre tempo con queste donne – familiare, badante, operatore – e si è accorto di una violenza (segni fisici, reazioni strane alla vista di qualcuno, comportamenti diversi dal normale) dovrebbe intervenire parlando con medici, operatrici dei centri anti-violenza, psicologi e figure di supporto. È importante che la donna venga ascoltata (in senso lato) senza mai essere forzata e che non sia giudicata o rimproverata per aver tenuto un comportamento che può aver scatenato la violenza di qualcuno. La violenza non é mai giustificabile.
Alcuni link utili
È molto importante che sia tu stessa a raccontare come ti è possibile, con parole scritte o pronunciate, le violenze subite a medici, operatori, assistenti sociali, psicologi o al personale del pronto soccorso, che può raccogliere le tue parole e testimoniare che sei vittima di violenza.
Nelle strutture troverai medici e operatori che da alcuni anni sono formati per poterti ascoltare e capire insieme a te come aiutarti a uscire dalla situazione di violenza fisica, sessuale o psicologica nella quale sei intrappolata.
*le considerazioni contenute in questo documento sono ricavate principalmente dai materiali relativi al progetto Aurora dell’associazione Frida, destinato alle donne con disabilità che avevano subito violenza, grazie al quale si è potuto realizzare un primo studio del fenomeno. Il progetto, finanziato da Philip Morris tramite l’Associazione Vita Giving Europe Onlus, della durata di 12 mesi è a stato attuato nei territori del Valdarno Inferiore e dell’Empolese Valdelsa, dall’Associazione Frida quale soggetto capofila, in partenariato con l’Associazione Italiana Assistenza Spastici di Empoli e Società della Salute del Valdarno Inferiore – U.O. adulti e disabilità.
In questa pagina troverai informazioni sulle forme e dinamiche di violenza che possono succedere in una coppia lesbica
Nel percepire e descrivere le dinamiche di una coppia lesbica, generalmente si parte dalla visione secondo la quale l’uomo è l’aggressore e di conseguenza ci si immagina che le relazioni tra donne siano paritarie, libere da violenza, anche perché spesso le donne non sono viste come soggetti violenti. La difficoltà nell’accettare la possibilità che anche queste relazioni possano essere in realtà violente crea un ostacolo all’individuazione di segnali di allerta e al riconoscimento della violenza quando la si vive.
Le dinamiche, i comportamenti, gli atteggiamenti violenti nelle relazioni tra donne lesbiche ricalcano la stessa spirale della violenza che si produce nelle relazioni eterosessuali perché, al livello della relazione, hanno lo stesso punto di partenza: la volontà da parte di uno dei soggetti della relazione di esercitare un potere, un controllo e determinare l’altra persona, non accogliendone i desideri e i bisogni, ma facendo valere solamente la propria volontà su quella dell’altra.
Nelle relazioni lesbiche, tuttavia, troviamo dei tratti specifici attraverso i quali la violenza si manifesta: le dinamiche che si instaurano hanno delle peculiarità dovute sia al contesto di vita differente (appartenenza alla comunità LGBTQI, luoghi di aggregazione, socialità ecc.), che al fatto che la violenza di genere venga agita da un soggetto (la donna lesbica) che è differente da quello che nella società e nelle relazioni eterosessuali ha di solito il potere (l’uomo eterosessuale).
La violenza nelle relazioni lesbiche, così come avviene in quelle eterosessuali, non è necessariamente agita a livello fisico (ciò ovviamente non significa che non esista la violenza fisica tra donne), ma anche a livello emotivo e psicologico. Ciò può avvenire tramite la manipolazione dell’altra persona (ad esempio scegliendo al posto tuo e portandoti a fare ciò che non vuoi tramite le menzogne, creando insicurezza, dipingendo una realtà falsata della relazione, nascondendo informazioni, evitando il confronto sincero); la mistificazione della relazione e della violenza che si agisce e/o il ricatto emotivo.
Nel tentativo di individuare quelle modalità violente che si manifestano specificatamente, o più frequentemente, nelle relazioni lesbiche, occorre sottolineare che tale elenco non implica che in questo tipo di relazioni non si verifichino anche le ‘tipiche’ manifestazioni di violenza (abuso fisico, stupro, minacce, stalking, etc.).
La partner violenta attacca e sminuisce la tua identità sia dal punto di vista dell’orientamento sessuale (ad esempio, vieni accusata di non essere una “vera lesbica” perché non agisci come la partner si aspetta e/o se manifesta desideri bisessuali), che dell’identità di genere (ad esempio, nel caso delle donne mascoline: “non sei una vera donna”), che delle modalità relazionali (la partner violenta pretende da te che ti conformi al suo modo di vivere la relazione di coppia).
La partner violenta sfrutta l’omofobia della società, minacciandoti di dire a tutti che sei lesbica e costringendoti a dichiararti in famiglia o sul posto di lavoro (ad esempio, “vengo in ufficio da te e lo dico a tutti”).
La partner violenta può sminuire e invisibilizzare la relazione con te. Questo può avvenire nel momento in cui decide di comportarsi come un’estranea nei tuoi confronti in pubblico, rendendoti insicura rispetto alla relazione (una relazione, quella lesbica, che già non viene riconosciuta dalla società); decidendo di rifiutare di parlare della relazione stessa e dei problemi con te, etichettandoli come poco importanti; tentando di stabilire unilateralmente quando comportarsi come parte di una coppia o ignorarti. L’invisibilizzazione, inoltre, si attua quando la partner violenta mistifica la relazione davanti agli altri (ad esempio ammettendo di essere lesbica ma negando l’esistenza di quella relazione sentimentale specifica) o mistifica la violenza che agisce (“questa non è violenza perché anche io sono una donna”) anche quando tu manifesti del disagio e chiedi di problematizzare la relazione (“le relazioni tra donne sono così”).
Questo avviene facilmente se tu hai da poco fatto coming out e sei nuova del giro, se non hai più contatti con la tua vecchia comunità, se le amicizie sono in comune. In questo contesto tu potresti non avere amicizie che non siano mediate dalla presenza della tua compagna e puoi facilmente venire isolata nella comunità in caso di litigio o presa di distanza della tua partner. Metterti ai margini rispetto al gruppo sociale, rendendoti dipendente dalla propria presenza nella socialità nonché manifestare fastidio per la tua presenza nei momenti collettivi, è violenza.
Questo isolamento avviene molto facilmente se la persona violenta tende ad appropriarsi di un ruolo di potere derivante dalla comunità ristretta. Quello stesso ruolo di potere che in genere nella società hanno gli uomini, e che genera violenza nelle comunità ristrette di amiche, donne, lesbiche, può essere agito dalla donna producendo una dinamica violenta nella relazione intima.
Chi ha un ruolo riconosciuto nella comunità, facilmente sceglie per gli altri e determina la volontà altrui, anche e soprattutto nella relazione intima. Far valere il proprio ruolo sociale nella relazione, accentrando la possibilità di scegliere solo su di sé, facendo ruotare tutto intorno ai propri desideri e non lasciando spazio a te, è un atteggiamento violento.
Minacciare di farsi del male o farlo davanti a te è un’azione molto violenta che incute in te senso di colpa e assoggettamento, rendendoti insicura e impaurita.
Tramite l’atto autolesionista, la partner violenta intende condizionare il tuo comportamento, responsabilizzandoti rispetto allo stato di salute della compagna che minaccia di farsi del male e inducendoti a rimanerle vicino proprio perché vieni accusata di determinare, con il tuo comportamento, la depressione e gli atti autolesionistici dell’altra.
Gli atti autolesionistici determinano, inoltre, un forte senso di paura nella partner: potresti iniziare anche a temere per la tua incolumità fisica perché, nonostante per il momento l’altra agisca atti fisici solo su se stessa, in futuro potrebbero essere rivolti contro di te.
Il condizionamento dei tuoi comportamenti può anche avvenire tramite l’autovittimizzazione. Spesso la persona violenta è anche quella che si dipinge come vittima della società, delle contingenze, degli avvenimenti (nello specifico si autovittimizza rispetto al suo non essere accettata nella società, o usando in modo strumentale abusi e violenze subiti in quanto donna o lesbica), in modo da sollecitare la cura da parte tua, evitare il conflitto (“non discutiamo perché sto male”) e porre al centro della relazione il proprio disagio (vero o mistificato) e il proprio bisogno di essere accolta. La persona violenta, in questo modo, ti impedisce di concentrarsi su di te, ti costringe a dare cure e attenzioni (spesso a senso unico) e stimola in te un profondo senso di colpa (“tu mi dovresti capire”) nel caso in cui tu provi a sottrarti dall’attività di cura.
Riconoscere di vivere una relazione violenta non è mai un processo facile e solo chi la vive in prima persona può decidere di affrontarla. E’ infatti importante sottolineare che i tempi del riconoscimento di una relazione violenta e di eventuale fuoriuscita dalla stessa sono soggettivi e impossibili da determinare da una persona esterna alla
E’ importante nominare gli elementi di difficoltà che si possono incontrare in questo percorso per cercare di decostruirli, sperando che ciò possa rappresentare un aiuto a chi si ritrova ad affrontarli, ma anche per lavorare affinché la percezione esterna non limiti la persona interessata nel suo percorso di uscita da una relazione violenta.
I miti che si sono creati attorno alle relazioni lesbiche sono fuorvianti e rappresentano essi stessi un ostacolo nel percorso di uscita dalla violenza perché contribuiscono ad invisibilizzare la violenza nelle relazioni tra lesbiche. Parlare di violenza nelle relazioni tra donne è il primo modo per affrontarla ed è importante parlarne in maniera consapevole senza riproporre degli stereotipi.
Il sesso forzato può esistere anche nelle relazioni lesbiche. L’abuso sessuale non riguarda solo la penetrazione vaginale violenta e forzata: la coercizione svolge un ruolo fondamentale nell’abuso sessuale, così come la minaccia di esercitare violenza. Atteggiamenti degradanti dal punto di vista sessuale, ad esempio, possono minare in maniera sistematica l’autostima sessuale e portarti ad accondiscendere al sesso, o a forme di sesso ritenute dolorose e umilianti, solo per far sì che la partner ti lasci in pace.
Le donne possono essere violente e possono esserlo in maniera fisica. L’idea che le donne siano sempre e solo concilianti e pacifiche, oltre ad indebolirle ed infantilizzarle, impedisce di nominare la violenza di una donna sull’altra e quindi contribuisce ad invisibilizzare la violenza stessa. Questo avviene non perché esista una differenza biologica tra donne e uomini rispetto al comportamento, ma perché nella società le donne vengono educate a non utilizzare la violenza e la forza fisica e ad ottenere con altri mezzi quello che vogliono.
Le persone pensano che la somiglianza fisica determini comportamenti identici e, quindi, ignorano completamente i fattori, diversi dal genere, che possono creare squilibri di potere. Dire che le disuguaglianze non esistono significa ignorare fattori come il razzismo, l’omofobia interiorizzata, l’abilismo [ii], le disparità economiche, l’età e tanti altri fattori che possono creare un differenziale di potere in una relazione. La violenza di coppia è un sistema di comportamenti coercitivi e di abuso finalizzati a mantenere il potere e il controllo su di te. Anche se la persona abusata può alzare le mani durante una lite non è detto che sia la persona che detiene il controllo della relazione.
In primo luogo, non in tutte le relazioni lesbiche c’è una butch. In secondo luogo, non c’è una correlazione necessaria tra la mascolinità di alcune donne e i comportamenti violenti. Se ci fosse, dovremmo aspettarci da ogni essere mascolino di essere violento. Questo mito può creare due tipi di effetti perversi: da un lato, espone le butch a gravi rischi quando tentano di troncare una relazione violenta perché rischiano di non essere credute; dall’altro, perché l’altra donna può sfruttare questo luogo comune per minacciare la partner.
Leggi qui come altri luoghi comuni sulla violenza siano privi di fondamento.
Oltre ai luoghi comuni appena elencati, relativi alle relazioni tra due donne, esistono ulteriori ostacoli che rendono difficoltoso il riconoscimento di una relazione lesbica violenta che, in parte sono comuni anche alle relazioni eterosessuali, in parte godono di una loro specificità:
Anche per quanto riguarda le strategie di fuoriuscita, le relazioni lesbiche violente presentano dei tratti che le accomunano allo stesso tipo di relazioni eterosessuali ma anche delle specificità proprie delle relazioni che si intessono tra persone dello stesso sesso. Tali specificità, che costituiscono ulteriori ostacoli nel percorso di liberazione da dinamiche di abuso e controllo, si articolano su due livelli differenti.
LA COMUNITA’ LGBTQI
Come già evidenziato in precedenza, le comunità LGBTQI sono in genere di dimensioni ridotte e composte, col passare del tempo, da persone che si conoscono e che spesso hanno avuto relazioni tra di loro. L’oppressione che tutti i membri della comunità sperimentano nella loro vita, in quanto soggetti che non si adattano al modello relazionale eterosessuale prevalente nella società, comporta la creazione di legami comunitari molto forti e porta la comunità stessa a chiudersi attivando dei meccanismi di difesa verso l’intolleranza e l’omofobia provenienti dall’esterno. In alcuni casi, nel tentativo di autoproteggersi, la comunità può sminuire, normalizzare, non riconoscere la violenza esistente. Questo può diventare un ostacolo alla tua fuoriuscita dalla relazione, potresti mettere in discussione la tua percezione della violenza poiché non trovi riscontro nelle persone a te vicine.
La struttura stessa dei rapporti all’interno della comunità LGBTQI, quindi, può non facilitare l’emergere della violenza nelle relazioni lesbiche e non ti incentiva a raccontare quello che ti succede e a richiedere aiuto all’interno della tua comunità. Si consideri, inoltre, che sia l’aggressora che tu siete entrambe membri della stessa comunità.
Di conseguenza, denunciare pubblicamente di star vivendo una relazione lesbica violenta può comportare i seguenti effetti:
LA SOCIETA’
Se la comunità LGBTQI non è in grado di sostenere la persona aggredita e di gestire i casi di violenza tra lesbiche che si verificano al suo interno, tanto meno è in grado di farlo la società eterosessuale.
Tale inadeguatezza è comprensibile se si considera che:
Alla luce degli elementi appena riportati, risulta evidente che del tema della violenza nelle coppie lesbiche si discuta ancora troppo poco: si tende, invece, ad ignorarlo e nasconderlo, non fornendo alla persona aggredita né riconoscimento, né sostegno. Le informazioni qui riportate non sono in alcun modo esaustive e il contributo di ciascuna è prezioso per un’elaborazione ulteriore. Uscire da una relazione violenta è sempre possibile, ed è importante iniziare a parlare della violenza tra lesbiche nella comunità LGBTQI affinché non venga più invisibilizzata.
[i] Ci siamo concentrate soprattutto sulle relazioni in cui la persona che subisce violenza è una donna lesbica, per questo di seguito scriveremo al femminile e faremo riferimento a relazioni tra donne. Non sappiamo se quanto abbiamo scritto possa effettivamente servire come strumento nel caso di altre soggettività.
[ii] L’abilismo può essere definito come un atteggiamento discriminatorio nei confronti di persone che non si conformano all’idea socialmente diffusa di salute fisica e mentale e, più in generale, l’atteggiamento di presupporre che tutte le persone debbano avere un corpo “abile” e, quindi, utile alle esigenze di produzione economica.
[iii] Il termine ‘butch’ si riferisce ad una lesbica che si identifica come mascolina nell’apparenza e negli atteggiamenti.
[iv] Per omofobia interiorizzata si intende l’assumere su di sé l’omofobia appresa nella società, indirizzando verso se stessi, e la propria relazione, la discriminazione e il rigetto dell’omosessualità.
[v] Per relazione eteronormata si intende quella relazione di coppia che si conforma all’immaginario socialmente dominante di come una relazione affettiva dovrebbe essere: tendenzialmente eterosessuale, basata su ruoli di genere (uomo/donna) chiaramente definiti, fondata su dinamiche di controllo, possesso e gelosia.
[vi] Per step-child adoption si intende il riconoscimento legale del legame di maternità in favore della partner che non è la madre biologica del minore.
Spesso le donne che hanno subito violenza sono sorprese di quanto, anche in diverse esperienze, esistano luoghi comuni sulla violenza domestica molto simili tra loro. In questa pagina elenchiamo quelli piú comuni e diffusi. È nostro dovere combatterli perché luoghi comuni e stereotipi legittimano la violenza e incoraggiano la colpevolizzazione a livello sociale delle donne che la subiscono.
Tutto andrá meglio quando avrete figli/e.
Questo è uno dei miti più allarmanti, usati per dare alle donne false speranze. Spesso la violenza domestica inizia, o peggiora, durante la gravidanza e può mettere seriamente a rischio la salute della donna che la subisce. Gli uomini che abusano delle loro partner non cambieranno i loro atteggiamenti per via di una gravidanza. È probabile invece che le cose diverranno più complicate per la donna, e che aumenti la violenza soprattutto attraverso ricatti psicologici che riguardano i/le bambini/e.
Sono l’alcol e le droghe e la crisi economica a rendere gli uomini violenti.
Spesso considerare cause esterne come il consumo di alcol, l’abuso di sostanze, la perdita di lavoro o le difficoltà economiche, come causa delle violenze è un modo per negare che gli uomini abbiano il controllo dei loro comportamenti. Alcol, droghe e difficoltà economiche possono esacerbare delle emozioni, ma non causano la violenza. La scelta di agire in modo violento e abusante appartiene sempre e comunque all’uomo.
Avviene solo nelle famiglie povere e con basso grado d’istruzione.
Qualsiasi donna può subire degli abusi, indipendentemente dall’appartenenza ad una famiglia ricca o povera. Molte donne sono intrappolate in una relazione violenta per altre ragioni, ad esempio perché provengono da una famiglia molto credente o perché il marito ha il potere economico e sociale per ricattarle. Gli uomini che abusano delle donne possono essere credenti o atei, disoccupati, medici, avvocati, camionisti o netturbini. Ciò che li contraddistingue è la volontà di sopraffazione e di controllo.
Se l’abuso è così grave, allora perché lei non lo lascia?
Questa è la scusa usata comunemente dalla famiglia o dagli amici dell’uomo violento. Considerando la pressione sociale affinché una donna resti insieme al marito, le aspettative delle famiglie di vedere un matrimonio ben riuscito, la mancanza di supporto e risorse per le donne, è facilmente comprensibile perché sia tanto difficile lasciare un marito abusante.
Alcune delle ragioni per cui una donna può sentirsi incapace di interrompere una relazione violenta possono essere:
Ricorda: non è colpa della donna se non riesce a reagire. Colpevolizzarti perpetua gli atteggiamenti che favoriscono la violenza sulle donne. Nessuna donna merita di subire violenza.
Il padre era violento con la madre, per questo anche lui è violento, non è colpa sua.
Crescere in un contesto familiare violento può influenzare la personalità di un/a bambino/a, ma ricorda che è sempre una scelta commettere un abuso o meno. Attribuire a esperienze d’infanzia la causa delle violenze è, ancora una volta, trovare un pretesto e non ritenere responsabile delle proprie azioni chi le commette. Se vengono perpetuati modelli abusanti in famiglia è sempre e comunque una scelta.
Lei non tiene casa pulita e non cucina bene. Se lo merita.
Le donne sono punite verbalmente e fisicamente dai mariti per ragioni banali o per nessuna ragione. Gli abusatori approfittano delle loro vittime perché vogliono mantenere il controllo e causare disagio, non perché il cibo non è buono. Nessuna merita di subire violenza. Le relazioni sane sono costruite sul mutuo rispetto e l’amore, non sulla violenza.
Gli uomini violenti hanno disturbi psicologici.
Questa è una credenza comune che non ha basi nella realtà. La maggior parte degli uomini maltrattanti non soffre di alcun disturbo psicologico.
Sarà anche un cattivo marito, ma è un buon padre. Lei dovrebbe restare perché chi l’accetterebbe con i/le figli/e?
Un padre che abusa della madre dei/delle loro figli/e non è un buon padre. Assistere alle violenze agite dal padre sulla madre può avere seri effetti negativi sui bambini e sulle bambine. Crescendo i traumi subiti possono causare turbamenti profondi e causare la rottura del rapporto padre-figlio/a.
I problemi di famiglia devono rimanere tra le mura di casa. Non è affare di nessun altro.
Se si violano la dignità e i diritti, se viene fatta violenza, non è solo un problema di famiglia, è affare di chiunque. Tutti e tutte devono aver cura di chi soffre ingiustamente, aiutare e contribuire positivamente a risolvere i problemi. Bisogna cercare di alleviare le sofferenze senza peggiorare la situazione o diventare indiscreti/e. Il personale è politico, la violenza domestica è una delle peggiori ingiustizie sociali.
È normale che le cose vadano male all’inizio del matrimonio o della vita di coppia.
Bisogna solo abituarsi, trovare un modo per conviverci e restare uniti e tutto andrà bene una volta trascorso il primo periodo. Le cose non vanno necessariamente male in ogni matrimonio/coppia. Anche se fosse così ciò non giustificherebbe la violenza; preservare la propria dignità e il proprio benessere è più importante che sostenere un matrimonio solo perché è socialmente malvisto fare altrimenti.
Un partner violento non cambierà il suo comportamento perché ciò che vuole è il controllo sull’altra persona. Gli scontri si protrarranno per tutta la durata del matrimonio, anche se con variazioni di intensità e frequenza.
Le donne devono fare compromessi e sacrifici nella loro vita. Dai compromessi si impara a mantenere le relazioni.
Perché una donna dovrebbe aver bisogno di salvare una relazione che non la soddisfa? Senza amore, rispetto e reciprocità non c’è rapporto. Una donna non è una schiava e il sacrificio per la famiglia non è il suo destino.
Essere remissive, non creare problemi e fare ciò che vuole il proprio partner è il modo per essere trattate meglio ed essere amate.
Si può essere disponibili e flessibili per adattarsi ad una nuova relazione, ma non essere remissive e sottomesse. L’onere di venirsi incontro è di entrambi. Una donna non è tenuta a cambiare se stessa a scapito della propria felicità e autostima, solo per gratificare il marito.
Bisogna soffrire ed essere pazienti, almeno per il bene dei figli.
Sebbene crescere da solo un/a figlio/a sia più difficoltoso, è possibile. Assistere alle violenze agite dal padre sulla madre è estremamente dannoso per la salute psichica e lo sviluppo della personalità dei figli. Queste esperienze traumatiche hanno conseguenze a lungo termine e possono influenzare molto negativamente, oltre alla salute, anche il rendimento scolastico e la formazione. I bambini e le bambine hanno bisogno di contesti tranquilli e liberi dalla violenza per crescere bene e divenire buoni adulti, molto più di quanto abbiano bisogno di un padre violento e di essere maltrattate/i.
Ogni donna deve lottare per conquistare il proprio posto in casa.
Ogni donna ha bisogno di una casa per se stessa. Soprattutto ha bisogno di tranquillità e amore.
La picchia? Avrà dei motivi…
Nessuno ha il diritto di considerare la moglie una proprietà. Le donne non sono schiave e ognuna appartiene solo a se stessa. Come può un uomo dominare e picchiare la moglie senza prendersene la responsabilità? Come si può lasciare che questo avvenga? Non esiste ragione alcuna che possa giustificare la violenza.
La donna deve accontentare i bisogni sessuali del marito.
Se una donna non vuole avere una rapporto sessuale in un dato momento e per qualsiasi ragione, imporglielo è uno stupro. La libido femminile può variare tanto quanto quella dell’uomo. Le donne non sono oggetti sessuali, sono esseri umani con preferenze, piaceri e dispiaceri.
Se la vittima continua a stare al fianco del suo abusatore, bisogna lasciarli stare.
Gli abusatori inducono l’altra persona a pensare di essere indegna, a sentirsi in colpa per le violenze subite, credendole giuste, responsabilità propria e non di chi le agisce. Spesso serve molto tempo per rompere questi meccanismi mentali e anche una volta raggiunta la consapevolezza di non avere nessuna colpa, si presentano difficoltà materiali per interrompere la relazione, a cominciare dall’esigenza di andare via di casa o mandare via l’uomo violento.
I bambini e le bambine possono essere colpiti in vari modi dalla violenza domestica, in questa pagina troverai informazioni degli affetti della violenza. Oltre che subire loro stessi abusi diretti all’interno della propria famiglia, possono vivere una situazione di “violenza assistita intra-familiare”: assistere o essere a conoscenza di violenze o maltrattamenti, fisici o psicologici, perpetrati da un membro della famiglia su un altro. La maggior parte delle aggressioni subite dalle donne si verifica infatti in presenza dei figli.
Una donna vittima di violenza domestica cerca naturalmente di proteggere i propri figli sperando che non siano consapevoli di ciò che sta accadendo. Purtroppo i bambini si accorgono degli abusi in molti modi e i loro livelli di consapevolezza sono molto più alti di quanto possiamo pensare: è impossibile riuscire a nascondere loro certe cose. Soprattutto, è fondamentale capire che anche se si fa del proprio meglio per nasconderlo ai propri figli, il fatto che i bambini non assistano direttamente a liti o violenze non significa che queste non abbiano un effetto su di loro: sono estremamente sensibili e recettivi rispetto al modo di interagire e relazionarsi anche se non si trovano di fronte ad una situazione di violenza esplicita.
I bambini dipendono dagli adulti, per loro è fondamentale sentirsi accolti, accuditi e protetti; quando la loro stessa casa non è un posto sicuro, viene a mancare un punto di riferimento estremamente significativo ed è molto difficile per un bambino capirne le ragioni. Le prime emozioni possono essere di paura e rabbia accompagnate da reazioni come ansia e depressione, problemi nel sonno, disturbi dell’alimentazione o altri sintomi fisici, comportamenti aggressivi e antisociali. Nella mente delə bambinə può prendere corpo l’idea che la responsabilità e la colpa di quello che accade sia sua, pur di provare a spiegarsi o giustificare il comportamento di un adulto nel quale ripone tutta la sua fiducia.
La verità è che in molti casi in cui un genitore è vittima di abusi, anche i bambini lo sono. È importante dunque ascoltarli quando questi cercano di parlarci di questo genere di episodi, mantenendo un atteggiamento calmo ed equilibrato che dia loro sicurezza, nonostante il racconto ci possa sconvolgere. Sottolineare il loro coraggio, rassicurarli e ribadire più volte che non sono responsabili o colpevoli di quello che sta accadendo li aiuterà molto.
Dunque, considerando quanto sia importante per il bambino o la bambina poter parlare di quello che sta succedendo, è determinante che l’adulto per primo non si nasconda dietro al silenzio negando che ci sia qualcosa che non va. Parlate con i vostri figli, ascoltateli, ricordando che spesso loro possono scegliere canali alternativi per comunicare con voi ed esprimere paure e bisogni, come forme di scrittura e disegni. Nel confrontarvi con loro e nel rassicurarli abbiate però cura di non sminuire il problema facendo promesse sul futuro che sapete di non poter mantenere: questo potrebbe confonderli ancora di più sentendo di non potersi fidare di voi.
Esprimere la rabbia in maniera violenta è un comportamento che viene appreso e non ereditato. Vivere in una famiglia segnata da abusi crea un ambiente di apprendimento negativo in cui i bambini possono imparare ad esprimere la propria rabbia gridando insulti o picchiando.
Aggiorna il più possibile i tuoi figli sull’evolversi della situazione e su possibili programmi di trasferimento, a meno che una situazione di estrema emergenza te lo impedisca. Spiega loro che state andando in un posto sicuro e che, se il livello di violenza è molto alto, purtroppo c’è la possibilità di non poter vedere amici o persone che facevano parte della loro quotidianità.
Molto spesso la fine di una relazione violenta implica la contesa dei figli come forma di ricatto. Questo tipo di situazione è nociva per i bambini e sottopone le donne ad uno stress continuo per la possibilità di perderne l’affidamento. Anche in questo caso la cosa migliore è rimanere lucide e rivolgersi a persone competenti. Ricorda che nessuno è interessato a punirti togliendoti i figli.
Le situazioni che si presentano più frequentemente sono :
Negli ultimi due casi, quindi, ci sarà probabilmente un intervento delle autorità (assistenti sociali e tribunale dei minori) per stabilire le condizioni su come entrambi dobbiate gestire la crescita dei figli.
Questo non ti deve spaventare perché non sono interventi volti a mettere in discussione le tue capacità di essere madre.
In qualunque caso, queste sono situazioni tipo dunque non esaustive della realtà in cui potresti trovarti.
C. Roccia, Violenza diretta e violenza indiretta sui bambini. Il punto di vista psicologico e psicoterapeutico
Centro Aiuto Donne Maltrattate, La violenza domestica
Perna, Quando i bambini assistono alla violenza: la violenza assistita intrafamiliare
In questa pagina troverai informazioni sulla violenza psicologica, ovvero l’insieme di comportamenti, dinamiche e discorsi che il partner maltrattante mette in atto per minare la tua dignità, identità, autostima e per ledere la tua autodeterminazione.
Questi comportamenti, finalizzati ad offenderti, denigrarti, manipolarti, controllarti e modellarti secondo le volontà del partner, presuppongono sempre un esercizio arbitrario di potere che può essere manifestato in vari modi. In fondo a questo articolo si possono trovare esempi concreti di situazioni di violenza psicologica.
Diversamente da un conflitto costruttivo, la violenza prevede sempre la prevaricazione e una disparità di posizione e potere, un rapporto non simmetrico e una violazione dei diritti della persona e della sua libertà, con potenziali danni psicologici, spirituali, fisici, economici.
Rispetto ad altre forme di violenza, quella psicologica è più difficile da riconoscere perché si fonda su una serie di strategie sottili messe in atto dal partner maltrattante tramite la manipolazione affettiva e cognitiva, e abilmente occultate.
Esistono tuttavia campanelli d’allarme che possono aiutarti a capire se nella tua relazione vengono messi in atto comportamenti psicologicamente violenti che la rendono dannosa e non equilibrata.
Di seguito sono riportati alcuni indicatori di comportamenti psicologicamente violenti divisi in grandi categorie per aiutarti ad identificare le modalità e le finalità con cui si perpetua la violenza psicologica. Alcuni sono trasversali a più categorie ed è possibile che qualcosa che stai vivendo o hai vissuto non sia presente in questo elenco, ma ciò non significa che non si tratta di comportamenti violenti. Per avere un quadro dettagliato delle altre forme della violenza, puoi consultare le altre pagine della sezione Violenza Domestica del nostro sito.
Se ti ritrovi in una o più delle situazioni descritte, è probabile che tu stia vivendo una relazione psicologicamente violenta. Ti invitiamo a leggere la sezione “Come affrontarla”.
Un comportamento violento ha sempre delle conseguenze su chi lo subisce. La violenza psicologica, nonostante sia meno evidente e più difficile da riconoscere rispetto ad altre forme di violenza, porta con sé conseguenze spesso alla stregua di altri tipi di violenza. Le ferite che può provocarti, infatti, non sono visibili e spesso richiedono tempo per rimarginarsi.
Tramite la manipolazione affettiva e cognitiva, il partner maltrattante può farti dubitare delle tue percezioni e sensazioni, dei tuoi sentimenti e desideri fino a convincerti che la causa del tuo malessere sia la tua instabilità emotiva o psicologica, piuttosto che il partner stesso e la violenza che agisce .
Le conseguenze possono essere di diversi tipi e su più livelli:
Gli effetti della violenza persistono per lungo tempo anche quando la violenza è terminata. Essa lascia segni e tracce di cui tu innanzitutto devi divenire consapevole per poter elaborare la sofferenza esperita ed il danno vissuto: ecco perché le conseguenze non spariscono con la conclusione della relazione. Per tale motivo spesso è consigliato rivolgersi ad un Centro AntiViolenza (CAV) e/o intraprendere un percorso di supporto psicologico/psicoterapeutico anche dopo la fine della relazione.
Le conseguenze psicologiche della violenza sono favorite dalla ripetitività, continuità, quotidianità e cronicità dei comportamenti violenti che subisci. Ciascuno dei singoli comportamenti subiti in sé non produce le medesime conseguenze, ma più il comportamento violento si ripete più ti indebolisci, esponendoti al rischio di sviluppare conseguenze a lungo termine.
Proprio la crescente insicurezza dovuta alle violenze subite rende più difficile avere uno sguardo critico nei confronti della relazione e adottare un punto di vista diverso da quello del partner maltrattante che, in queste situazioni, non si presenta come prospettiva alternativa, ma come punto di vista privilegiato, assoluto e indiscusso. Tutto ciò accresce la difficoltà di allontanarsi dal partner e di interrompere la relazione.
Nonostante la violenza psicologica sia più difficile da riconoscere perché si manifesta con modalità insidiose i cui tratti vengono spesso attribuiti ad un immaginario di amore “romantico” e totalizzante, al pari di altre forme di violenza, lascia ferite profonde. Queste ferite riguardano e coinvolgono la parte più vulnerabile e profonda di te stessa, il tuo sé, che dopo una relazione psicologicamente violenta può essere messo duramente alla prova.
Se stai sperimentando senso di vergogna e senso di colpa, è del tutto normale. Questo è dovuto alla forma particolare con cui si costruisce e mette in pratica una relazione abusante: alle azioni volte a manipolare, controllare e denigrare si alternano quelle che tecnicamente sono definite le fasi della “luna di miele”: riappacificazioni (false e di breve durata) che portano la donna a sperimentare una vera e propria altalena emotiva che va dalla sensazione di onnipotenza (in cui crede di saper gestire la situazione e di poter ripristinare delle condizioni sane nella relazione intervendo salvificamente sul partner), a quella di fallimento e disillusione in cui sente di non riuscire a cambiare il partner e di non avere vie d’uscita.
Molte donne sperimentano e raccontano di aver messo in atto comportamenti del tutto contrari ai loro valori e ai loro principi e di aver sopportato umiliazioni e vessazioni che, in altri contesti, avrebbero considerato inconcepibili. Il fatto che ad aver agito violenza sia il partner/ex partner può produrre in te uno stato di confusione che non facilita il riconoscimento obiettivo e razionale della violenza: l’abusante fa leva sul sentimento d’amore che provi e sull’incapacità di giudizio che lui stesso ha alimentato in te per manipolarti.
La violenza psicologica, producendo senso di inadeguatezza e manipolazioni cognitive, mina nel profondo l’identità e l’autostima della persona.
Le testimonianze e la letteratura scientifica dimostrano che ad essere messo in discussione è il ‘chi sono?’, generando la sensazione di un “fallimento ampio e irreparabile4,”. Riconoscere di star vivendo o aver vissuto una relazione abusante è sicuramente il passo più importante che potessi fare. Certo, il percorso è lungo, doloroso e tortuoso, ma sappiamo che puoi farcela e che ne varrà la pena!
Potresti tormentarti con domande del tipo “come ho potuto permettergli di farmi questo?”, “come ho fatto a non vedere?”, “come ho fatto a non capire?” ma è importante che tu sappia che queste domande raccontano le strategie di coping, di minimizzazione e di negazione che hai messo in atto per sopravvivere. È normale quindi che tu ti possa sentire triste, svuotata, impotente, priva di energie per affrontare la situazione.
Ma uscirne è possibile! Ricorda però che è necessario del tempo e che procedere a piccoli passi renderà tutto più semplice.
Ecco cosa puoi iniziare a fare per te:
Puoi rivolgerti ad uno dei tanti sportelli e centri antiviolenza che esistono sul territorio nazionale dove troverai operatrici all’ascolto e all’accoglienza, qualificate nel contrasto e nella prevenzione della violenza di genere, che ti accoglieranno senza mai mettere in discussione la veridicità di ciò che stai raccontando e che ti supporteranno nel tuo percorso, senza giudicare le tue scelte.
Se hai deciso di andartene di casa o di mettere fine alla relazione o se ci stai pensando e non ne sei sicura, puoi consultare la pagina “Considerare di uscire da una relazione violenta”.
Come affrontato al paragrafo “conseguenze a livello emotivo”, subire violenza psicologica può determinare stati di sofferenza profonda. Diverse donne scelgono di intraprendere un percorso psicologico/psicoterapeutico per trovare sollievo nell’ascolto non giudicante di un professionista. Questo tipo di intervento può essere utile qualora la donna che ha subito violenza sentisse il bisogno di uno spazio ed un luogo a lei dedicati per ricostruire il senso del valore personale che sente danneggiato, frammentato.
La durata del percorso non è determinabile a priori ma dipende sempre dall’entità delle ferite psicologiche ed emotive che la donna sente di portare addosso. Occuparsi del proprio benessere psicologico è un passo importante per tornare a volersi bene ed a prendersi cura di se stesse.
La violenza può assumere diverse forme, in questa pagina troverai un’introduzione sui differenti tipi di abuso e come affrontarli. Tieni a mente che questi sono solamente consigli, non ci sono ricette uniche per tutte le situazioni o un modo univoco per approcciarsi ai problemi. Ti consigliamo di rivolgerti ad un Centro Antiviolenza, dove sarai ascoltata e supportata nelle scelte, senza mai subire giudizi o forzature della tua volontà.
L’abuso psicologico è soprattutto perpetuato verbalmente: dallo svilimento alla denigrazione, dai rimproveri alle grida e alle umiliazioni. Solitamente prevede: intimidazioni, minacce, instillazione del senso di colpa, isolamento e atteggiamento controllante.
La gravità di questo tipo di violenza non è proporzionale ai singoli gesti ma al tipo di contesto che viene a generarsi. Ad esempio la situazione di oppressione potrebbe essere talmente forte da non rendere necessarie le urla dell’abusante. Si può essere terrorizzate al punto di agire in modo estremamente autocensurato; questo può ridurre le occasioni di scontro diretto, ma ciò non significa che l’entità della violenza sia minore. In questo caso il livello esplicito è solo reso non necessario: le richieste vengono appagate prima ancora di essere formulate grazie a un continuo sforzo mentale per anticipare le esigenze dell’altra persona. Questo tipo di situazione implica uno stato di ansia incessante, anche perché il partner troverà comunque dei pretesti per aggredire arbitrariamente.
COME AFFRONTARE L’ABUSO PSICOLOGICO
A prescindere dalla durata dell’abuso e dalla sua natura (psicologica, sessuale e/o fisica), una relazione violenta può mettere in forte crisi la fiducia in se stesse e nelle altre persone. I tempi e le modalità per affrontare le difficoltà e superare i traumi cambiano a seconda di tantissime variabili, non ci sono passaggi da eseguire meccanicamente ma scelte e percorsi individuali di elaborazione da affrontare.
Le donne che subiscono violenza attraversano momenti di profonda vulnerabilità proprio per le insicurezze instillate in loro nel corso della relazione.
Anche se tutte le relazioni violente presentano gli stessi caratteri, e proprio per questo sono identificabili in quanto tali, lo stato d’animo, i sentimenti e le reazioni delle donne che le vivono possono variare sensibilmente, ad esempio: si può interrompere bruscamente il rapporto e decidere di non voler più avere nulla a che fare col partner; si può rimanere in una situazione confusa di allontanamenti e riappacificazioni; si può provare rabbia vendicativa o disperazione annichilente. Sicuramente continuare o meno ad avere una relazione a sfondo abusivo e/o continuare ad essere in contatto con l’abusante sono elementi che fanno la differenza; come lo è la necessità di continuare a parlare degli abusi, per esempio a causa di procedimenti legali o trattamenti medici.
In ogni caso uscire dalla spirale della violenza significa soprattutto uscirne mentalmente: non sentirsi più inadeguate, non sentirsi più in colpa e quindi non essere più esposte ai ricatti del partner.
Se continui a vivere con il tuo abusante, è opportuno che tu prenda i due accorgimenti seguenti quando accedi a un supporto online:
Nel caso di violenza domestica l’abuso fisico e l’abuso sessuale implicano quello di tipo psicologico; l’aggressore infatti si protegge dalle reazioni agli atti violenti strumentalizzando la relazione di fiducia, quindi accusando e facendo sentire in colpa la donna finché non sia lei stessa a giustificare le aggressioni prendendone su di sé le responsabilità.
L’abuso fisico consiste in pugni, colpi inflitti con oggetti, schiaffi, morsi, pizzichi, calci, tirate di capelli, spinte, bruciature, tagli e strangolamento.
Può essere di tipo sessuale: quando si ricevono baci o palpeggiamenti contro la propria volontà, gli atti sessuali bruschi o violenti, stupri o tentati stupri, insulti a sfondo sessuale, dolori inflitti ai capezzoli, rifiuto di utilizzare il preservativo e metodi anticoncezionali, ed esposizione alle malattie sessualmente trasmissibili (MST). Leggi qui per visitare la guida di Chayn dedicata alla salute sessuale.
COME AFFRONTARE L’ABUSO FISICO E SESSUALE
La violenza fisica contro le donne è forse la tipologia di più facile riconoscimento, anche se molti maltrattatori hanno imparato ad esercitarla in modo da non lasciare segni (ad esempio colpendo in parti che sono normalmente coperte da vestiti). Quando parliamo di violenza fisica ci riferiamo a qualsiasi azione con lo scopo di fare del male fisico o terrorizzare la vittima. Ci riferiamo invece a violenza fisica indiretta quando è rivolta verso terzi, cioè verso le persone e le cose che ci sono più care: per esempio distruggere o sequestrare oggetti, malmenare amici, familiari o nuovi partner etc.
Affrontare e uscire da una relazione di violenza fisica è possibile, se ti trovi in questa situazione sarebbe però opportuno mettere in atto tutta una serie di strategie che ti aiuteranno a difenderti e tutelarti:.
L’abuso può anche riguardare l’ambito finanziario. Il ricatto economico consiste nell’utilizzo delle questioni relative ai soldi come pretesto per far sentire in colpa la donna e aggredirla e nel privarla delle risorse materiali che le consentirebbero di essere autonoma e quindi di poter interrompere una relazione violenta.
Concretamente può consistere nel:
Anche in questo caso è implicato l’abuso di tipo psicologico: le privazioni vengono prima legittimate attraverso l’instaurazione di un rapporto di dipendenza e subordinazione.
COME AFFRONTARE L’ABUSO ECONOMICO
La violenza economica si riferisce a tutte quelle azioni che vanno a incidere sulla tua indipendenza economica, controllando così di fatto la tua libertà. Alcune forme di violenza economica sono: limitare l’accesso ai risparmi familiari, vietare o boicottare la tua carriera professionale, il lavoro o la formazione; sfruttarti come forza lavoro senza però darti alcun tipo di retribuzione.
È importante che inizi a renderti indipendente economicamente così da poter affrontare autonomamente le spese che si potrebbero presentare qualora tu decida di lasciare il partner violento.
Alcune strategie da mettere in atto per contrastare l’abuso economico:
Cosa fare se hai un partner affetto da dipendenza.
COME AFFRONTARE L’ABUSO DA UN CONIUGE AFFETTO DA DIPENDENZA
Prima di tutto, ricorda: non sono solo l’alcool o le droghe che rendono il tuo partner violento. Potresti essere tra le pochissime persone a vedere il tuo compagno ubriaco o sotto effetto di sostanze. Ciò non significa che non abbia un problema di dipendenza o che tu debba essere trattata in quel modo. Anche se le vostre famiglie dovessero negarlo, la realtà dei fatti non cambia. Non sei tu la causa del suo comportamento, e nemmeno l’alcool o le droghe. Questi possono influenzare negativamente il suo processo cognitivo e farlo eccedere negli atteggiamenti, per esempio nella rabbia, ma la scelta di farti del male è solo sua. Le sostanze stupefacenti fanno solo da copertura al reale problema, ovvero che lui ritenga accettabile trattarti male. Una persona di indole non abusante rifiuterebbe l’idea, anche se sotto effetto di droghe e alcool.
La dipendenza e l’abuso hanno molti tratti in comune. Possono avere un andamento ciclico e quindi ripresentarsi una volta apparentemente scomparsi. Tienilo a mente, e non confidare nel fatto che il tuo partner non ti farà più del male se smette di bere o assumere droghe.
La natura controllante della dipendenza può isolarti da amici e famiglia e quindi renderti più vulnerabile. Ha un impatto negativo sulla tua vita familiare, nonché sull’intimità e la sessualità. Le sostanze stupefacenti aumentano la sensazione di potere in chi ne fa uso, il quale potrebbe tentare di indurti a farne uso a tua volta. È molto pericoloso per la tua salute, quindi prova a evitarlo se possibile. L’assunzione di sostanze stupefacenti può portare ad una alterazione della percezione della realtà sia negativamente che positivamente. Quando si vive in uno stato di ansia, paura e agitazione sarebbe meglio evitare di assumere sostanze che potrebbero amplificare questi stati e portare a comportamenti che possono essere pericolosi per la tua incolumità.
A volte i rifiuti possono scatenare una rabbia maggiore nel partner quando è sotto l’effetto di sostanze. In tal caso, prova a farlo calmare e chiama aiuto appena possibile e in condizioni di sicurezza.
L’alcool e le droghe rappresentano gravi problemi ma non sono mai la ragione principale della violenza domestica. Se il tuo partner ti fa del male, potrebbe continuare a farlo anche da sobrio trovando altre giustificazioni per il suo comportamento.